IL MIMO

Nell'età  di Giulio Cesare, per merito di Laberio, un romano, e di Publilio Siro, un forestiero, un altro genere teatrale raggiunse una propria dignità  letteraria ed autonomia: il mimo. A proposito di questo, si può tranquillamente affermare che esso non è certo un'invenzione latina o italica, ma è un'arte nata con l'uomo (dal greco mìmesis = imitare). Anche dal punto di vista letterario, il mimo non è indigeno poiché già  aveva avuto la sua consacrazione nel mondo greco con il siracusano Sofrone (secolo V a.C.) e, soprattutto, in epoca ellenistica, con Eroda, vissuto nel III secolo a.C., autore dei famosi Mimiambi (mimi in giambi). Nella Magna Grecia, in ogni caso, il mimo era stato sempre fiorente, ma, non essendo scritto, era affidato all'estro ed all'improvvisazione degli attori, una specie di commedia dell'arte.

La fortuna del mimo aumentò quando, dal 173 a.C., diventò lo spettacolo che accompagnava le Floralia, le feste primaverili in onore della dea Flora. Caratteristiche di questo spettacolo erano sia il fatto che in esso recitavano anche le donne sia la sua estrema licenziosità  che scandalizzava i personaggi più morigerati, come Catone Uticense che in un'occasione uscì disgustato dallo spettacolo.

Verso la metà  del I secolo a.C. con Laberio il mimo diventò genere letterario scritto.